mercoledì 28 gennaio 2009

Quello che alle donne non dicono


Freud dichiarò che nonostante decenni di studi ricerche sedute e frequentazioni non riuscì mai a capire cosa diavolo volessero le donne. Cosa ci sarebbe da capire? Il problema, se mai, era solo capire quale diavolo di quesito si era posto Freud, e magari compatirlo. Finiranno mai le ciance millenarie imbastite attorno al presunto mistero delle donne? alla loro profondità? al loro intuito? al loro ineguagliabile senso pratico? alla loro speciale sensibilità? alla loro complessità..? L’uomo nel tempo le ha costruite monumentali per non sentirsi ancora più solo e disperato nell’universo, per giustificare una costola e del fango, per non voler accettare di avere al fianco una rosa tanto profumata quanto vana e nel fianco una spina tanto delicata quanto acuminata. Nei secoli ha dunque inteso nobilitare letterariamente quest’aura inestesa di grembo e di pianto, senza peraltro ricevere la benché minima gratitudine. Quando le donne hanno creduto di essere più intelligenti e libere mettendo mano esse stesse alle arti e alle lettere, incredibilmente sono riuscite nel proprio suicidio estetico, sono riuscite a sbugiardare secoli e secoli di inarrivabili ceselli e orpelli rosamontati consacrando la loro disfatta e lasciando cadere quel velo leggendario da nobile creatura, angelica, ispirata, misteriosa e volatile che l’uomo, volutamente cieco, le aveva donato. Le donne, come i gatti (altro grande abbaglio millenario), non sono complesse imprevedibili o misteriose. All’uomo che contempla estasiato queste creature, esse paiono tali perché estremamente semplici e ai minimi termini, tali da rasentare una mostruosa complessità a pelo d’acqua, una superficie così limpida e trasparente da risultare perciò invisibile e innocente. In profondità si nuota spostando chili d’acqua senza riuscire a liberarsene, incantati e potenzialmente annegati, costernati sedotti e atterriti dagli abissi, dalla tremenda possibilità di visitarli per non risalirne mai più. In superficie non si può che galleggiare, fare il morto e lasciarsi spazzolare dal vento (condizione sommamente più incosciente e felice di cui l’uomo, aggiogato ai falsi miti degli abissi, ha voluto in qualche modo vendicarsi costruendo con le lettere un abisso di mistero sotto le carni tumultuose che la donna dimenava urlando tutta l’evidenza della sua e della nostra destinazione senza destino: procreare, dare continuamente forme alla morte in un gioco al massacro che non importa a nessuno… Quando poi ha visto che sotto l’inganno degli amori, della vita e delle specie non c’era che questo, con supremo sadismo ha voluto intentare legami sacri legali e duraturi per contraffare e convertire la vertigine fugace di un grido coitale, da contingente e momentaneo disbrigo naturale, a perdurante equivoco etico estetico e sociale. ) I gatti, del pari, queste tigri da pantofolai, questi puma da scodella e divani, non coltivano reconditi segreti, non celano sibille o arcani negli occhi, non sono misteriosi: sono estremamente stupidi ed opportunisti.

Antonio Perrotta

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