giovedì 29 gennaio 2009

12 buoni motivi per varcare le mura cimiteriali


Non vado al cimitero per qualche insulsa ricorrenza. Basta che me ne stia seduto sulla poltrona della mia camera abbandonato al tempo - dal tempo - per constatare la ricorrenza della morte. Non capirò mai l’assurda e mesta celebrazione di certi rendez-vous cimiteriali, di certi cadenzati omaggi novembrini che impongono doveri di onoranze funebri… con tutta l’indifferenza che gli ospiti di quelle mura promanano, non diversa da quella dei marmi e delle croci che li segnalano. Si può celebrare la morte solo tra vivi (inconsapevolmente, nelle più sfrenate manifestazioni di giubilo e vitalità, è esattamente quello che facciamo). Quando varco il cancello di un cimitero è per gustare o pregustare una pace che domani non potrò testimoniare né avvertire. E’ per immaginare le molteplici vite che certi volti e date hanno sognato e sancito. E’ per constatare che tutte quelle croci, inconcepibilmente, in qualche modo, hanno condizionato e profilato i miei passi, e che nel condizionamento umorale del momento continuano a farlo… E’ per immaginare il mio corpo al di là di quei marmi, senza coscienza, senza aneliti, senza timori o speranze. E’ per sapere quanto il ricordo, il rimpianto e il dolore, appartengano ai vivi, non agli occhi vispi del bimbo che mi spia da un consunto opale in ceramica. E’ per ricordarmi che non potrò ricordare e patire alcunché così come per millenni non ho ricordato e patito l’assenza di alcunché. E’ per sapere che, aldilà di certe smanie presenziali, non sono altro che una tomba che deambula a caso (tu n’es plus qu’un tombeau qui promène au hasard, diceva Laforgue), in attesa della mia allocazione ultima. E’ per gustare la vanità di queste riflessioni di fronte ad ogni lapide che osservo e congetturo, non visto o ricambiato. E’ per immaginare che i miei giorni e il mio nome incisi (un marmo da qualche parte li accoglie) saranno osservati da qualcuno che ignoro o fuggevolmente conosco. E’ per sapere che i suoi passi, inevitabilmente, saranno condizionati dal marmo di chi non lo contempla. E’ per intuire che l’unico vero dono non è questa lenta e vanitosa morte quotidiana, adusa e procrastinata, ma quell’ultima, franca e definitiva. E’ per gustare l’umile e profonda concordia che circola tra quei rosi cadaveri a dispetto del tronfio e vanitoso deambulare di questi altri che il giorno imbelletta e la notte ammansisce e dilava.

Antonio Perrotta

Nessun commento:

Posta un commento